La Storia non concede ai Liguri il tempo di sviluppare autonomamente la propria civiltà.
Nel secolo III a.C. arrivano infatti dal sud le legioni romane, né vale a fermarle l'alleanza con Annibale, sostenuto a fondo dai Liguri nelle sue campagne in Italia come il di lui fratello Magone, le cui navi trovano solidale ospitalità nel porto di Albenga.
La potenza militare romana ha il sopravvento dapprima su quella cartaginese e solo poi, dopo ottant'anni di guerra - il che la dice lunga sulla durezza di questa gente – anche sulla resistenza ligure(1).
La “soluzione finale” si consuma nella primavera del 181 a.C. con la grande spedizione che, sopravvenuta la potenza navale romana in tutto il bacino del Mediterraneo, il Senato ed il popolo di Roma affidano al console Lucio Emilio Paolo, assegnandogli il compito di sottomettere quei molesti Liguri Ingauni occidentali con un corpo di spedizione composto da due legioni (trattasi di ben quindicimila - ventimila uomini(2)).
Racconta Tito Livio che, mentre le legioni si stanno appunto accampando in una grande pianura (probabilmente quella di Andora(3)), viene richiesto ai Romani di non andare su una determinata collina, in quanto “luoghi coltivati e domestici”.
Il buon Emilio Paolo ci casca ed interdice la zona ai suoi uomini, cosicché su quella collina si possono impunemente riunire i Liguri di Ponente che una notte piombano in massa sull'accampamento romano facendo una strage.
L'astuzia degli indigeni non può però ribaltare l'enorme squilibrio delle forze in campo e sconfiggere lo strapotere della caput mundi: saputo il corpo di spedizione assediato e ridotto in condizioni quasi disperate, Roma invia altre legioni e comanda al duumviro navale Caio Matieno, di stanza nel Golfo Gallico (Narbona - Marsiglia), di condurre nel più breve tempo possibile la sua flotta sulla costa ligure per portare aiuto ad Emilio Paolo e sconfiggere una volta per tutte quei protervi Ligustini.
Caio Matieno esegue; si arriva così al decisivo ed impari scontro frontale, in cui l'implacabile macchina militare romana stritola il disperato eroismo dei Liguri a difesa della propria terra.
Dice Livio che in quel giorno – primavera del 181 a.C. - furono uccisi più di quindicimila indigeni. Da Caio Matieno furono catturate sulla costa trentadue navi di quei predoni che, sospinti nei loro castellari, vi furono fatti prigionieri: entro tre giorni, ogni tribù dei Liguri venne ad arrendersi(4).
Subita la conquista, i Liguri gradualmente si integrano nell'Impero romano; otterranno il “diritto latino” nell'89 a.C. e potranno finalmente pronunciare il fatidico “Civis romanus sum” (sono cittadino romano) nel 45 a.C.
Con l'annessione all'Impero cominciano a definirsi lungo la costa i principali centri abitati, ribattezzati dai Romani utilizzando il nome della tribù dominante(5); così fu di Vada Sabatia (Vado) capitale dei Sabazi che occupavano l'area orientale del Ponente, di Albingaunum (Albenga) capitale degli Ingauni che dominavano il territorio compreso tra Finale (anticamente chiamata Pullopices) e Sanremo sulla costa e da Ceva a Mondovì nell'entroterra e di Albintimilium (l'odierna Ventimiglia) capitale degli Intemeli che risiedevano all'estremo ponente, tralasciando tuttavia le zone montane che mantengono la propria autonomia.
Sottomesso anche questo estremo lembo di Liguria, Roma provvede subito a ristrutturarne la viabilità, di vitale importanza per lo sviluppo dei traffici dell'Impero.
La via Eraclea che attraversava il Ponente, infatti, non solo collegava Roma alla Gallia ed all'Iberia ma, consentendo di evitare gli impervi valichi alpini, costituiva anche l'itinerario invernale obbligato per le impacciate carovane dei mercanti da e per il centro Europa; la straordinaria importanza commerciale di questa arteria induce quindi Roma ad ampliarla, ribattezzandola via Julia Augusta dal nome della figlia dell'imperatore.
La nuova strada attraversa il Ponente(6) toccando successivamente Albingaunum (Albenga), Servo (Cervo), Lucus Bormani (Diano Marina), Porciana (Santo Stefano), Costa Beleni (Taggia), Villa Matuciana (Sanremo) ed Albintimilium (Ventimiglia) inoltrandosi nella Gallia dove, ad Alpis Summa (l'attuale francese La Turbie), nel 6 a.C. i Romani erigono il monumento più grandioso della zona, quel trofeo che, citando uno ad uno i quarantacinque popoli sconfitti, ancor oggi con tutta la sua impressionante imponenza celebra Augusto ricordando che sotto di lui “tutte le genti alpine dall'Adriatico al Tirreno sono state soggiogate a Roma”.
L'età dell'Impero è caratterizzata dal fiorire sul litorale del castrum, ormai vera e propria città organizzata, ricca di servizi quali acquedotti, porti, templi, terme, teatri.
Dell'epoca romana, consistenti tracce restano a Ventimiglia (anfiteatro, necropoli ed acquedotto), a Sanremo (necropoli e fondamenta di ville con terme), Diano Marina (“dolia” in terracotta recuperati dalla nave affondata nel I secolo d.C.) ed Albenga (anfiteatro, tombe, nave, ruderi di una villa rustica).
Crollato l'Impero, dal 400 d.C. iniziano le invasioni dei Barbari che, per secoli, spazzano ad ondate ricorrenti le nostre valli uccidendo, violentando e saccheggiando tutto ciò che incontrano sulla loro strada.
Cominciano nel 408 i Visigoti che, fra l'altro, demoliscono Albenga: seguono i terribili Vandali (ancor oggi proverbiali) di Gianserico nel 450 e quindi i Longobardi che si insediano in modo permanente. Nel 643, il loro re Rotari conquista tutto il Ponente che, nel 773, entra a far parte del vasto impero di Carlo Magno il quale annette i territori liguri al Regno d'Italia ricalcando i confini romani.
Ed è appunto sotto l'impero carolingio che l'originaria mansio romana, struttura essenzialmente militare, per esplicito volere del grande imperatore(7) si evolve definitivamente nell'“hospital”, struttura civile di ricovero per i viandanti poveri, originaria matrice del nascente villaggio che ci introduce nell'epoca medievale.
Al feudatario medievale si affianca dunque l'amministrazione ecclesiastica del vescovo a capo delle diocesi già formatesi in epoca paleocristiana.
(1)Lotta asperrima, lunga e particolarmente difficile fu questa di Roma, che dopo aver piegato i Sabazi e parte degli Ingauni, nel 241 a.C. prepara il terreno per lo scontro decisivo facendo qui ricostruire dal censore L. Aurelio Cotta la via Eraclea che spiana il cammino alle legioni; nel 185, il console P. Claudio Pulcher espugna qui sei “oppida” e nel 184 e 183 altre battaglie sono vinte da F. Fabio.
(2)Appare comunque a priori infruttuosa la ricerca di ruderi che possano attestare l’esistenza di grandi mansioni militari permanenti lungo la costa ligure occidentale e la via Aurelia. Scrive al riguardo lo storico tedesco Teodoro Mommsen: “L’antica via litoranea che, partendo dalla costa ligure, attraversava la Gallia e la Spagna fino all’Oceano Atlantico e che l’imperatore Augusto in parte restaurò, in parte costruì di nuovo, dovette servire a scopi prettamente commerciali. La vera via militare invece, l’immediata congiunzione fra la penisola e gli accampamenti presso il Reno, era quella che, attraversando la vallata della Dora Baltea, dall’Italia conduceva parte a Lione, capitale della Gallia, parte al Reno” (T. Mommsen, L’Impero di Roma. Cap.X: Vie e colonie nelle Alpi.). La parola autorevole del grande storico tedesco ci fa ritenere che non siano mai sorte qui grandi fortificazioni romane fisse in grado di accogliere forti contingenti di truppe; l’“agger” ed il “vallum” dei “castra” in cui Paolo Emilio subì l’assedio dei Liguri - opere non permanenti formate da tronchi d’albero e terrapieni - scomparvero con l’andar dei secoli senza lasciar tracce.
(3)Gli storici si sono sbizzarriti ad indicare il campo dello scontro decisivo nei più diversi luoghi e qualcuno lo fissa nell’entroterra di Taggia, in corrispondenza della strozzatura del Castello di Campomarzio, baluardo che - già fortificato nel 600 a.C. - controlla la via di accesso alla valle Argentina. Ma dal testo di Livio (lib. XLI) sembra chiaro invece che la lotta si svolse presso il litorale e che fu ad azione combinata di terra (duce Emilio Paolo console) e di mare (duce C. Matieno duumviro navale). Seguendo le tracce indicate dal marchese Marco Maglione nel suo “La valle di Andora ed il Castello dei Clavesana”, e da Federico Lip nel suo eruditissimo lavoro “Alassio nelle origini” e considerato che questa era appunto la zona di confine tra le terre già sotto il controllo romano e quelle ancora tenute dai Liguri, riteniamo che quel grande evento si sia svolto nella pianura di Andora, pur essendo ovviamente scontato che, per il definitivo assoggettamento di tutto il territorio, si resero poi necessari nell’estremo Ponente altri scontri minori per debellare la residua resistenza delle tribù locali.
(4)Pur ammettendo che il grande storico padovano per esaltare la potenza romana abbia un po’ esagerato nelle cifre, è certo che la vittoria di Paolo Emilio, il quale trasportò a Roma, per il trionfo decretatogli, venticinque corone d’oro tolte ai capi delle genti liguri, fu così solenne da fargli scrivere che: “...mai così grande bottino d’oro e d’argento era stato fatto come in quel trionfo”, il che fra l’altro implicitamente conferma il livello di civiltà che i Liguri avevano raggiunto.
(5)Per indicare le zone prive di insediamenti tribali significativi, la cartografia romana utilizza il nome del dio il cui culto unifica ed identifica in qualche modo quell’area. I nomi tribali variamente storpiati e corrotti sussistono tuttora (Ventimiglia, Albenga) a ricordare le radici più profonde della nostra gente; quelli legati agli dei locali in genere muoiono con il tramonto dei culti relativi. È il caso ad esempio dell’area dianese, già “Lucus Bormani”, e di quella taggiasca, già “Costa Beleni” corrottosi poi in “Costa Balenae”; ma se nulla rimane oggi del dianese dio Borman, a ricordare invece la forte valenza fallica del celtico dio Belèn è tuttora vivo l’osceno intercalare dialettale diffuso in tutta la Liguria.
(6)Un tratto ancora integro della originale via Augusta risale “il monte” a ponente dell’abitato di Albenga nei pressi dell’anfiteatro; un altro tratto originario, affiancato da una fontana dell’epoca, si trova al “castello” di Andora. Murata su di un basamento sulla via che attraversa il borgo di Chiappa (nell’entroterra di San Bartolomeo al Mare) sta poi la pietra miliare tronco-conica che porta la seguente epigrafe: IMP. CAESAR AUGUSTUS - IMP. X - TRIBUNlClA POTES XI - DLIII (Imperatore Cesare Augusto - Imperatoria podestà decima - Tribunizia podestà undicesima - 553). ll numero 553 segna la distanza in miglia da Roma. Altri due cippi analoghi - di cui uno riutilizzato attorno al Mille come colonna a sostegno della volta della cripta - sono conservati nella chiesa di San Michele a Ventimiglia.
(7)Nel Capitolare del marzo 789, Carlo Magno decreta che lungo le vie dell’Impero “... nobis competens et venerabilis videtur ut hospites peregrini et pauperes susceptiones regulares et canonicas per loca diversa habeant” (a noi spettando, e cosa onorevole ci pare, che forestieri, pellegrini e poveri trovino regolari e decenti alloggi attraverso luoghi diversi).