Altitudine: m 240 s.l.m.
Superficie: km2 41
Distanza da Imperia: km 20
Abitanti: nel 1881 4482 - al 2017 1336
Festa patronale: 24 giugno - San Sebastiano
Informazioni: Comune tel. 0183 36313
La città di Pieve di Teco venne fondata per sfruttare la felice posizione della zona, baricentrica fra Liguria e Piemonte, con l'istituzione di un centro di scambio commerciale fra le due aree: "Del 1232 - ci informa un documento - gli uomini della valle del Theco convennero con li Marchesi Clavesana, loro Signori, di fabbricare un Borgo di 200, sino a 300 fuochi (famiglie) con un castello, torri ed argini conformi quello di Pavia; concedendogli all'incontro li Marchesi, per il sito, le Praterie d'Arogna, in oltre fra le altre cose gli fecero esenti dalla consignazione delle spose.
Quel borgo per la comodità della Valle d'Arozia e traffico del Piemonte fu in otto anni dai paesani edificato, chiamandolo Pieve di Teco".
I marchesi di Clavesana - che per incentivarne la realizzazione hanno rinunciato allo "jus primae noctis" - vi trasferiscono la loro residenza ad il borgo cresce rapidamente grazie allo sviluppo di fiorenti attività commerciali e manifatturiere che producono carta, sapone, cordami ma soprattutto le calzature per cui diverrà famoso.
Come feudo dei Clavesana Pieve di Teco rimane sempre, dal 1386, "alleata" di Genova e subisce quindi a più riprese (1625, 1744, 1798) assalti ed occupazioni da parte dei Savoia che mai però riusciranno a tenerla stabilmente.
Perduta gran parte della sua importanza commerciale ed industriale, Pieve di Teco rimane comunque ancor oggi attivo centro di interscambi tra Liguria e Piemonte che l'ammodernamento della Statale 28 dovrebbe far rifiorire.
Visita al Borgo
Poco prima di raggiungere l'abitato, al termine del rettilineo e subito prima del ponte sul torrente Arroscia imbocchiamo a sinistra la stradicciola in sterrato che in meno di duecento metri ci porta al Molino del Longo, fronteggiato dal ponticello medievale a schiena d'asino molto accentuata e dalla oggi sconsacrata chiesetta di Santa Filomena; l'area adiacente, su cui sorge oggi un villino, è il Largo della Forca dove venivano giustiziati i condannati.
Il mulino (eternamente in attesa del restauro che lo trasformerà in museo) conserva le sue attrezzature protoindustriali: visibili attraverso la finestrella sopra una mola qui appoggiata sono i massicci torchi in legno per la spremitura dei fiscoli e, sulla destra, la "pila" in pietra sormontata dagli ingranaggi in legno.
Il palo accanto alla finestra è l'asse dell'"omu mattu" ("uomo matto"), argano verticale la cui fune veniva applicata alla stanga del torchio - inizialmente manovrata direttamente a mano - per imprimerle i più faticosi tratti finali.
Dallo sportello nell'angolo basso a destra della casa si accede alla "sala macchine" del complesso, con la gronda che fa cadere l'acqua sulla ruota il cui asse trasmette il movimento alle macine interne; sotto il basso volto della casetta di fronte c'è l'altra ruota che sfrutta l'acqua di caduta della prima.
Tornati all'auto superiamo il ponte ed entriamo in paese svoltando subito a destra (indicazione per Armo); dalla piazzetta prendiamo ancora a destra tenendoci poi sempre a sinistra fino a parcheggiare nella grande piazza Borelli fiancheggiata dalle scuole e dalla caserma.
Dal lato della piazza opposto alla caserma Manfredi si distacca a destra la rampa in ciottolato che ci porta al seicentesco convento dei Cappuccini.
La porta a sinistra dà accesso al piccolo chiostro con al centro il pozzo ancora servito dall'argano originario che conserva incatenata la tazza in bronzo per dissetarsi; sulla parete a destra c'è una meridiana col motto "Torna, tornando il sole, l'ora smarrita; ma non ritorna più l'età fuggita".
La porta centrale immette invece nella chiesetta, con sulla sinistra la nera lapide che ci dice come la costruzione, eretta nel 1660, sia stata restaurata nel 1736; diverse altre lapidi settecentesche ricordano i benefattori del convento.
Tornati al piazzale superiamo la cerchia delle mura passando attraverso la porta a destra della caserma e prendiamo poi a sinistra.
Qui sorgeva il duecentesco castello del marchese Antonio di Clavesana, demolito poi a cannonate nel 1625 da Vittorio Amedeo di Savoia al termine di un mese di assedio; venti anni dopo sulle sue rovine viene costruito il convento delle Agostiniane che verrà però abbandonato nel Settecento per cui l'edificio sarà nuovamente ristrutturato, questa volta adattandolo a teatro (di cui conserva tuttora l'impronta), per essere poi anche utilizzato come caserma.
A ricordarci frammenti di un così tormentato passato numerose lapidi sono murate sulla facciata dell'edificio, oggi in disuso: un Agnus con santi del 1644, diverse figure femminili, un Trigramma, una figura maschile barbuta ed un altro Agnus in un tondo a tortiglione.
Tornati indietro verso la chiesa, superata la lapide con stemma dei Savoia murata nella casa a sinistra vediamo all'11 un'altra lapide con Agnus in rilievo protetta da tettuccio; a destra c'è una porta delle mura.
La piazzetta è dominata dalla mole della maestosa neoclassica collegiata di San Giovanni Battista con campanile sul frontale, progettata dal Cantoni nel 1785 con la grande cupola poggiante su tre ampi semiarchi; tutta la struttura, come il Duomo di Porto Maurizio dello stesso architetto, è retta dalle grandiose colonne screziate che ne segnano il perimetro interno, la zona dell'altare ed il massiccio porticato esterno.
Alta sul portale di ingresso è murata una lapide intagliata con la figura del Cristo; all'interno la chiesa conserva "L'Assunzione", la "Madonna con Bambino" e le "Tentazioni di Sant'Antonio", seicentesche opere di Giulio Benso da Pieve di Teco, e la scultura lignea "Madonna del Carmine" del Maragliano (1664- 1741); la tela più preziosa, "L'Ultima Cena" del genovese Domenico Piola (1627-1703) è stata invece trasferita al Museo di Arte Sacra della Madonna della Ripa.
Uscendo dalla chiesa attraversiamone il sagrato a ciottoli bianchi e neri fino ad arrivare sotto i massicci portici della via centrale che percorriamo voltando a sinistra per notarne i numerosi portali in pietra intagliata, testimonianza della passata floridezza del borgo: al 68 il portone in ferro inchiavardato a cuspidi quadrangolari, con stemma dei Savoia; al 40 la lapide con Trigramma alberi e scudo sabaudo; l'architrave del 1475 con Trigramma fra raggi di sole al 20, seguito dall'altra lapide intagliata con una scena della Passione del Cristo.
Siamo arrivati così alla piazzetta della Torre dell'Orologio con quadrante sui due lati, statua in marmo della Vergine e meridiana internazionale che segna il mezzogiorno di diverse capitali e città europee.
Dall'altra parte della strada c'è l'oratorio dell'Immacolata Concezione del 1554 a pianta ovale, con l'iscrizione: "Oratorium hoc laicum sub protetione serenissimi Senatus" che ricorda come l'oratorio sia una struttura laica protetta del Senato cittadino.
Risalendo i portici sul lato opposto superiamo via via al 33 l'arco in marmo con rosetta, di fronte al 45 due portali in pietra liscia e all'85 il palazzo decorato con archetti pensili; giunti al 91 svoltiamo a sinistra nel vicolo osservando al 6 un altro portale con architrave e stipiti decorati a motivi floreali.
Sboccati sulla Statale siamo di fronte alla tardo-gotica chiesa della Madonna della Ripa del 1372.
Gli scavi recentemente effettuati al suo interno hanno rivelato tracce murarie dell'ottavo secolo; l'impianto attuale, a tre navate con quattro colonne in pietra a capitelli dissimili che reggono archi a sesto acuto, risale al Tre-Quattrocento.
L'interno è decorato da due affreschi quattrocenteschi: a destra dell'ingresso laterale un santo gigantesco, e sul lato destro dell'abside quadrata un San Giorgio e altri santi.
I capitelli delle colonne sono intagliati anche a mago-custode; gli archi sono decorati a motivi alterni bianchi e neri.
Nella chiesa sono conservate la pala d'altare "Annunciazione" (1644) con l'"Assunzione" di Giulio Benso e la statua lignea "Assunta" del Maragliano.
Poco più a monte sullo stesso lato della strada l'oratorio di San Giovanni Battista del 1234, sede della Confraternita dei Battisti, che conservava velluti e damaschi d'epoca, un trittico in legno del Trecento, un crocifisso ed il "Battesimo di Gesù" del 1724 entrambi del Maragliano, ed il cinquecentesco anonimo polittico del santo oggi al Museo Diocesano di Albenga; alle pareti affreschi del 1736 del pievese Francesco Sasso.
Di fronte c'è la piazzetta dove ha sede l'Ufficio Turistico.
Proseguendo verso monte troviamo sulla sinistra il cinquecentesco convento degli Agostiniani oggi adibito a scuola; il chiostro, con i suoi ventiquattro pilastri ottagonali dominati dal campanile cinquecentesco a torre con cella a bifore, è il più vasto della Liguria.
Percorriamo ancora qualche decina di metri verso monte e quindi rientriamo in paese prendendo a destra; tra le prime case a sinistra era ubicato il "Reverendo Ospitale di San Lazzaro della città della Pieve", nato come ospizio per i poveri, di cui rimane il bel portale in pietra nera intagliato con una "Annunciazione" del 1402, capolavoro della scuola di Cenova.
Proseguendo verso valle troviamo sotto i portici a destra il Municipio ospitato nel Palazzo Borelli con sale affrescate e quindi nel vicolo sulla destra al civico 59 il portale con doppio architrave decorato.
Pieve di Teco è nota per il suo pane ed altri prodotti locali: la domenica i negozi sono aperti e la passeggiata sotto i portici può quindi avere anche una sua pratica motivazione.
Tornati all'auto sulla Statale 28 proseguiamo verso monte raggiungendo dopo circa tre chilometri Acquetico: sullo slargo a sinistra della Statale la settecentesca chiesa di San Giacomo con muri in pietra grezza e la sola parte alta del campanile intonacata e decorata; vi si conservano fra l'altro gli "Jura Ecclesiae Acquetici", quattrocentesco Statuto del borgo.
Di fronte c'è il rustico oratorio dell'Assunzione di origine medievale con campanile a cuspide che presenta alla base ancora tracce di affreschi; conserva all'interno una tonda acquasantiera in pietra nera.